Chi sono e come diventare clown di corsia?

Quando si parla di clownterapia il pensiero va immediatamente al commovente film Patch Adams, nel quale un impetuoso Robin Williams interpreta il personaggio di un dottore che introduce la risoterapia nei primi anni ‘70. Il film è liberamente tratto dall’autobiografia di Hunter “Patch” Adams, considerato il padre della clownterapia. Ma la storia è ben più articolata di così.


Che cos’è la clownterapia?

La clownterapia, che viene spesso chiamata anche terapia del sorriso, è l’applicazione di tecniche di clownerie all’interno dell’universo sanitario. Il motivo della sua nascita è dato dal fatto che studi effettuati sui pazienti che l’hanno sperimentato sulla loro pelle hanno dimostrato come questa tecnica di intrattenimento sanitario sia in grado di migliorare l’umore dei pazienti, dei familiari e degli accompagnatori che li circondano.

Secondo la PNEI, (psiconeuroendocrinoimmunologia) la scienza che studia le interazioni tra i sistemi nervoso centrale, endocrino e immunitario, la clownterapia sarebbe in grado di migliorare anche le funzionalità del sistema immunitario.

 

Chi sono i clown di corsia?

I clown di corsia sono persone aderenti ad enti privati, siano esse associazioni, cooperative o fondazioni, che scelgono la figura del clown come piede nella porta per facilitare il contatto con persone ospedalizzate o in casa di riposo. Queste figure non sono improvvisate, infatti esiste una vera e propria formazione psicologico-sanitaria per poter operare all’interno del settore sociosanitario.

Inoltre la loro formazione clownesca deve obbligatoriamente essere sostenuta dall’applicazione di tecniche derivate dall’improvvisazione teatrale, dall’arte del clown o dal teatro.

 

Si tratta di un lavoro molto importante che negli ultimi anni si sta diffondendo in diverse zone del mondo come Francia, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Gran Bretagna, Germania, Israele, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Sudafrica.

E proprio l’Italia è uno degli esempi virtuosi di questa disciplina, con l’attivazione di tante Onlus disposte a fare formazione e a raccogliere fondi in favore di questa attività.

Il lavoro di un clown di corsia è principalmente rivolto ai luoghi di cura e in special modo ai degenti. Ovviamente spesso il primo pubblico di questi angeli del sorriso sono i bambini lungodegenti, ma è una pratica che si rivolge anche alle case di riposo, alle case famiglia, agli orfanotrofi, ai centri di accoglienza, insomma in tutti i luoghi dove una risata può aiutare a sollevare l’umore della persona e a migliorarne la giornata.

 

Come nasce la figura del clown di corsia?

Se proprio vogliamo essere corretti, il primo clown di corsia nasce nel XVII secolo, si chiamava Angelo Paoli (1642-1720). Il sacerdote carmelitano italiano, beatificato nel 2010 soprattutto per le sue attività caritative, usava travestirsi da clown, con tanto di trucco, proprio per dare buon umore ai malati e agli anziani.

Mentre se si parla di clownterapia moderna ufficiale allora è giusto attribuirne la paternità a due clown professionisti: Karen Ridd, canadese, e Michael Christensen, americano. A partire dal 1986 infatti, in maniera indipendente l’uno dall’altro, questi due intrattenitori dal cuore grande, hanno iniziato questa attività di coinvolgimento dei pazienti proprio tra le corsie d’ospedale.

I risultati delle loro scorribande, sketch e gag vennero immediatamente mostrati dalle cartelle cliniche dei pazienti coinvolti. Il loro umore migliorava e le loro difese immunitarie si rinforzavano, aiutando la lotta alle diverse malattie che li affliggevano.

Il clown di corsia è in grado di stravolgere un intero reparto o la camera d’ospedale all’interno della quale il degente si trova.

Spesso uno dei problemi può infatti anche solo essere l’umore del paziente, schiacciato dalla monotonia delle stanze che abitano per giorni e giorni, e l’immobilità dovuta appunto dalla loro situazione di salute. Un pagliaccio che entra nella quotidianità di queste persone può instaurare un rapporto empatico di fiducia. Legami e interazioni sono fondamentali per l’essere umano, che è pur sempre un animale sociale. Questi professionisti della risata instaurano quindi un rapporto molto forte con i malati, specialmente con i bambini, per cercare di far dimenticare loro la vita ospedaliera dando affetto e gioia.

 

Come diventare clown di corsia?

Per diventare un clown dottore, detto più comunemente clown di corsia, in Italia è necessaria una formazione minima di 150 ore, partecipando a specifici master universitari attivi in tutto lo stivale. Questa specializzazione rientra all’interno della Gelotologia, ossia la disciplina che studia il fenomeno del ridere, con una specifica attenzione riguardo alle sue potenzialità terapeutiche e al benessere psicofisico della persona che vi si sottopone.

Ma per diventare un clown di corsia non basta un Master, serve anche la giusta attitudine.

È importante ovviamente essere disposti ad impiegare parte del proprio tempo libero per attività di volontariato, a servizio dei meno fortunati. Inoltre è fondamentale essere in grado di fornire ascolto alle persone che si cercano di rallegrare ogni giorno indossando un po’ di trucco e un naso rosso.

Sono tante le associazioni che organizzano corsi per diventare clown di corsia, con formazione continua e costante e un supporto a tutti coloro che hanno deciso di fare del bene agli altri con l’infinito potere della risata. Sono diversi gli aspetti da conoscere prima di lanciarsi in questa splendida avventura.

Perché fare un corso per diventare clown di corsia?

Oltre ad alcune conoscenze artistiche di base e una innata predisposizione al riso e all’allegria, il lavoro svolto dai pagliacci che vogliono rallegrare le giornate dei malati e dei degenti deve porre particolare attenzione a una serena relazione con persone forzate a vivere in ambienti dove regna la sofferenza. Fare il clown di corsia significa sì portare gioia e allegria, ma è importante non esagerare e riuscire a dosare con sensibilità e tatto i momenti di gioco e i momenti più delicati.

Quando l’umorismo è la carta giusta?

Potremmo rispondere facilmente “sempre”, ma è anche vero che per poter diventare un clown di corsia sia anche necessaria una corposa dose di sensibilità. Bisognerà infatti riuscire ad immedesimarsi nella persona che, di volta in volta, ci si porrà di fronte, cercando di misurare ogni nostra parola o gesto in base a come l’assistito si sente.

Di pari passo con l’empatia sarà quindi necessario sviluppare anche una certa comprensione dell’altro, della sua personalità e di quello che ha bisogno in quel momento.

Forse non sempre una risata fragorosa, ma anche solo una parola dolce e un abbraccio possono fare molto di più di qualunque numero di giocoleria.

Cosa è richiesto per svolgere questa azione di volontariato?

Le attitudini che deve possedere chi vuole far parte del mondo dei clown di corsia sono ovviamente uno spiccato senso dell’umorismo, un deciso desiderio di aprirsi all’altro, una corposa capacità creativa e, come in tutte le nuove avventure, un marcato desiderio di mettersi in gioco.

Quello che fanno i pagliacci di questo tipo è fornire un servizio che spesso include anche delle piccole attività fisiche, sarà anche quindi indispensabile godere di buona salute fisica.

Come ci si veste in servizio?

Di solito, al classico camice di servizio, che varia a seconda dell’associazione a cui si prende parte, l’abbigliamento classico del clown di corsia è caratterizzato da bottoni colorati, maniche di un colore diverso rispetto al camice, e il naso rosso d’ordinanza.

Ovviamente la creatività qui non ha limite. A seconda della tipologia di clown che si desidera portare “in scena” sarà necessario declinare il personaggio. Quindi via libera a parrucche colorate, trucchi leggeri, enormi papillon, trombette, finti stetoscopi, pantaloni incredibilmente larghi, scarpe giganti, burattini e tutti gli accessori che possono strappare un sorriso o far sentire la persona assistita a suo agio e di buon umore.

Il clown si trucca?

Un clown di corsia non sempre è truccato in maniera vistosa, anzi spesso non lo è per niente.

Questo principalmente per due motivazioni. La prima è perché alcuni bambini potrebbero essere spaventati da un make up estremamente caratterizzato e secondo perché non sempre risponde alle esigenze igieniche di un ospedale o una casa di cura. È importante entrare nel personaggio ed essere credibili, ma è anche fondamentale tenere a mente che si sta svolgendo un servizio pubblico e per primo si deve piacere ai pazienti e alle persone che si assistono.

 

Il caso Norman Cousins

La clownterapia, oltre che essere appoggiata dalle più alte cariche mediche di tutto il mondo e adottata da un gran numero di nazioni, ha anche dei riscontri positivi verificabili. È infatti stato esemplare il caso di Norman Cousins. Il professore aggiunto all’Università di Los Angeles, ammalato sin dal 1960 di cuore e di spondilite anchilosante, una grave forma di artrite, iniziò ad abbandonare la terapia che stava seguendo a base di antidolorifici e steroidi e iniziò a sposare la medicina cosiddetta alternativa.

A partire dal 1964 infatti iniziò ad assumere massicce dosi di vitamina C, seguendo alla lettera le prescrizioni della medicina ortomolecolare, incominciò a seguire una dieta ben precisa che seguisse i dettami della natura e iniziò l’allora denominata “terapia del riso”, madre della clownterapia.

Questa speciale cura consisteva nella visione dei film dei fratelli Marx, poi caldamente consigliata in alcuni libri pubblicati da Mr. Cousins.

In questi libri il professore racconta la sua esperienza personale, a quale oltre a farlo diventare un famoso divulgatore di medicina alternativa, gli permise di guarire. Infatti Norman Cousins recuperò dalla malattia che lo costringeva a stare letto e visse per altri 30 anni dalla diagnosi.

Si tratta sicuramente di un caso limite e nessuno vuole sostenere che la clownterapia possa in alcun modo sostituire la medicina classica, ma prove oggettive ci dimostrano che aiuta i pazienti a essere sereni e a migliorare le loro condizioni psicofisiche. Un recente studio canadese infine ha scientificamente confermato che il buon umore difende dalle infezioni, determinando una minor riduzione dell’immunoglobulina A.

Spesso una risata all’interno di una brutta giornata è più che sufficiente per cambiare anche solo di un po’ la vita delle persone.